PENNY LANE
29.01.2009

I bambini di ieri si ricorderanno che accompagnare la mamma a fare la spesa era un vero e proprio evento sociale cui ci si preparava con cura. Le mamme si mettevano il rossetto, si cotonavano i capelli, si profumavano (Joy, Eau Fraiche di Pucci, Roberta di Camerino), si mettevano il cappotto buono (la pelliccia solo per le occasioni mondane) e letteralmente strappavano i figli dai giochi, li lavavano, li pettinavano e li vestivano perché “non si sa mai chi incontriamo non voglio che pensino che siamo degli zulù”.
Era un’epoca in cui i supermercati erano guardati con sospetto, e per comprare anche solo poche cose si doveva andare in almeno due negozi diversi, ovviamente tutti orbitanti attorno alla Piazza.
Mi rivedo lustrata a nuovo, mortificata nel look di fine anni 70 (il mio odio verso scarpe e borse in vernice, l’abbinata giallo/marrone e la messa in piega ha radici proprio in quegli anni), appiovrata alla mano di mia madre, invidiare i bambini nei passeggini perché se avevano sonno potevano dormire. Ricordo alla perfezione la rottura di stare ad aspettare che finisse di chiacchierare con tutte le persone che incontrava e con cui immancabilmente si fermava per ore ed ore (in verità si trattava di pochi minuti, ma credo di avere già esposto la mia teoria sulla lunghezza di un minuto quando ti rompi le palle!). Talvolta ricorrevo a tecniche di boicottaggio: pianti, urla, capricci, pernacchie, inconsapevole che da adulta sarei diventata proprio come lei, e che anzi, più persone incontro adesso nelle mie vasche, con quante mi fermo a parlare, più mi sento realizzata nella mia vita sociale.
Il percorso quotidiano della spesa era sempre lo stesso da prima che nascessi, così come del resto i negozi: Il Forno De Caroli, i fruttivendoli Anna e Giovanni, il macellaio Bevini, la salumeria Dondi e il mitico Serino. Negozi dove non si prendeva il numero, dove chi arrivava ultimo si metteva rassegnato in fila, dove tutti odiavano il solito che alla domanda “Altro?” prima rispondeva “No”, poi ci ripensava e chiedeva altre quattro cose. I bancomat non esistevano, si pagava in contanti o, trattamento vip, si lasciava da pagare perché quando si è clienti abituali i negozi ti aprono un conto: non esistevano i codici a barre, e il totale veniva calcolato a mano e scritto su un angolo di carta oleata per alimenti o di un sacchetto marrone per il pane. Il tempo scorreva a modo suo perché due minuti per scambiare una parola, un cenno di cortesia si trovavano sempre e non erano tempo sprecato.
Non so perché, ma solo da Serino incontravo spesso qualche mia compagna di scuola, anche lei con madre-nonna-zia incappottata e cotonata annessa (di cui non ricordo i visi ma solo le maniche dei cappotti e la mano ingioiellata), e allora anche per me l’attesa e la spesa diventavano più piacevoli perché ci appoggiavamo al bancone dei surgelati e ce la raccontavamo. Suonava particolarmente esotico dire, il giorno dopo a scuola, che avevo incontrato la tale da Serino: mi sentivo parte di quel mondo che ho sempre guardato da mezzo dentro e mezzo fuori.
E ovviamente era lui il mio preferito: fornitissimo di merendine, Nutella, Nesquick, e tutte quelle diavolerie moderne che allora cominciavano a scendere sul mercato, è stato il mio primo fornitore ufficiale di Sofficini al formaggio, e per questo avrà sempre un posto speciale nei miei ricordi: il negozio non era esageratamente ampio, né luminoso, stipato di generi alimentari fino al soffitto...le luci non erano bianche, né riposanti, né a basso consumo: si era ben lontani da termini come marketing, packaging, brandizzare: se qualche rudimento di economia c’era, al massimo avrebbe potuto essere “La domanda crea l’offerta, a meno che non ti faccia un 3x2 di quel prosciutto prossimo alla scadenza se no mi resta sul groppone”. Di sicuro, però, la regola della buona educazione e del garbo c’era: solo una volta ho sentito il signor Serino in persona (Serino è il cognome, a proposito, l’ho scoperto anni dopo quando ho conosciuto suo figlio) invitare una signora (cliente non abituale, però) a non fare più la spesa nel suo negozio, perché gli aveva piantato una grana tentando di restituirgli un surgelato mezzo usato. Serino e sua moglie, così come del resto l’Anna, Giovanni, Dondi, Bevini, De Caroli, Medoro, senza avere studiato comunicazione, pubblicità, advertising, avevano involontariamente messo in pratica la prima sacra legge del venditore: fai sentire unico chi hai davanti.
Ancora oggi,appena imbocco Corso Cabassi per la mia vasca settimanale, istintivamente drizzo la schiena (non stare gobba), petto in fuori, pancia in dentro e controllo di essere a posto: non vorrei mai che saltasse fuori mia nonna col fazzoletto ricamato per pulirmi la faccia dai baffi di Ovomaltina.

 
 
 
 
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