SULLA STRADA
9.4.2009

I veri motociclisti: qualsiasi stagione sia, un po’ di rinforzi alla tuta, qualche stratagemma antivento, e in teoria dovrebbero cavalcare le loro amate moto 365 giorni all’anno.
Visto che però noi non abbiamo ammazzato nessuno, e non vedo perché flagellarsi con inutili prove di resistenza estrema, e anche perché è bello che ogni stagione sia in qualche modo scandita da rituali se vogliamo anche stereotipati, ecco che soltanto a fine marzo si comincia timidamente a progettare qualche gita fuoriporta con la moto che tutto inverno era stata in garage, coperta col telone verde impermeabile.
Nella mia onorata carriera amatoria vanto qualche ex fidanzato motociclista, e, vuoi per zerbinaggio, vuoi perché era di moda, sono stata anche io la “donna del motaro”.
Il primo moroso con cui ho sdoganato l’inebriante esperienza della moto aveva un TT. Fuoristrada. Questo significava che le gite in moto prevedevano sempre qualche tratta in punti la cui pendenza doveva superare il 40%, le curve dovevano essere fatte radente la strada, e il fango doveva entrarti anche nelle calze, se no che gusto c’era?
Ho deciso di chiudere con questa fase un po’ cheap dopo, nell’ordine: avere pelato i miei amatissimi anfibi Doctor Martins’ piegandomi nella curva a gomito sulla strada per Campogalliano (i Laghetti, meta preferita per chi vuole illudersi di andare al mare, alla Parigi Dakar o ad Ascot); dopo avere fatto la crocerossina al centauro che si era rotto il braccio in una evoluzione neanche tanto complicata (e al Pronto Soccorso era svenuto); ma soprattutto dopo aver realizzato che il look più cool cui avrei potuto ambire su un TT era un paio di jeans neanche troppo moderni, una maglietta della Motor Oil e degli stivali che potevano pelarsi senza perderci 5 anni di vita.
Senza considerare che, tolto il casco, i miei capelli potevano strigarsi a suon di machete: sembravo la nonna della famiglia Addams.
Posso però dire che questa mia prima esperienza mi ha insegnato tanto: per esempio, quando il conducente curva, non ci si deve mettere tutte rigide dalla parte opposta, ma bisogna prendere un bel respiro, farsi il segno della croce, e piegarsi verso il ciglio della strada facendo il pelo all’asfalto. Queste son lezioni.
Dopo anni passati a irriderli e a compatirli (oltre che avere augurato loro che il famoso V- Twin gli facesse perdere sensibilità nelle parti intime ogni volta che mi passavano sotto le finestre con le marmitte scoppiettanti), ho ceduto e ho posato gli occhi su un harleysta. Grandissimo. (Stronzo).
Ora, un harleysta sta al motociclismo come io sto in un campeggio, perché la Harley va piano e ha un telaio rigido che non riesce a sopportare bene i lunghi viaggi, ma la cosa aveva diversi lati positivi:

  • Una Harley è uno status symbol, e l’harleysta, bello o brutto che sia, acchiappa. La donna dell’harleysta, per transitività, è una grande. (Cornuta).
  • Essendo uno status symbol, era rigoroso avere un look appropriato che prendeva a pretesto il mondo del motociclismo, ma che alla fine era un trionfo di nero (bene), fetish (meglio), intimidatorio (anche di più) e lussuoso (l’apoteosi). Vogliamo parlare poi dell’universo di Belstaff, Dainese, OXS che fino a quel momento avevo relegato a un consumo di nicchia?
  • Con gli anni, mi ero smaliziata, e mi ero munita di uno sciccosissimo passamontagnino di seta nero, di una cintura lombare per camionisti (lombalgia da telaio rigido) stivali da nazi a cavallo (mitici, ce li ho ancora).
  • Ai motoraduni eravamo tutti una grande famiglia beona e casinista che si dava gran pacche sulle spalle, faceva girare la ruota dietro finchè non fumava (Verzellesi fece un buco nell’asfalto e il gommista che aveva lo stand lì ci si pagò la vacanza a Tarifa), urlando a squarciagola “NON SENTO!!” e beveva la vodka in un colpo solo mettendosi in bocca TUTTO il bicchierino. A pensarci bene forse è per quello che mi divertivo tanto e amavo tutti.

Proprio mentre sentivo di avere finalmente fatto mia la filosofia del perfetto harleysta (conoscevo le biografie degli Hell’s Angels a memoria) e avevo iniziato ad apprezzare la vita un po’ folle di questi zingari di lusso, il mio amato bene si era accorto che la sua Electra Glide riscuoteva un certo successo tra le ragazze, e, con la scusa che “il sellino del passeggero rovina l’estetica della moto”, al posto del sellino da passeggero fisso ha fatto la sua comparsa un sellino scomodissimo e spigoloso con le ventose (che le vibrazioni del motore mi facevano pericolosamente arretrare …. ),
Posso però dire che anche questa seconda (e direi ultima) esperienza mi ha lasciato tanto: nei giorni di vento il passamontagnino è un toccasana contro il torcicollo, e nei viaggi in aereo non c’è niente di meglio della mia cinturona lombare che tira su le sorti della mia povera schiena.

 
 
 
 
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