CIRCUS
28.5.2009

Se la Margherita (mia insegnante di Pilates) mi vedesse in questo momento, credo che getterebbe la spugna e deciderebbe di accettare la proposta di fare la commessa per Giacomelli Sport. In effetti, la capisco: non è possibile che dopo due anni di lezioni (intermittenti, però) su come avere la “postura migliore che migliora la vita”, io sia ferma all’incrocio delle piscine, masticando il Vivident, il gomito appoggiato al finestrino (con conseguente abbronzatura tipica) mentre con una mano mi dò il mascara.
Il mio umore però è in linea con i miei disallineamenti corporei: i primi caldi mi ammazzano, e hanno ammazzato anche il ponte radio con la filiale nella bassa modenese (ebbene si), quindi mi ritrovo a percorrere la Bruno Losi almeno una volta al giorno, munita del mio pen drive tutto tempestato di cristalli Swarovski pieno di file criptati (era una vita che sognavo di esibirlo a quel trucido del programmatore lineare!) rallentando la marcia in prossimità delle Piscine (causa scuole ovunque, nuova zona industriale, Sporting Club e Scazza).
In questi giorni, però, oltre al solito odore di asfalto liquefatto, di emissioni preoccupanti di CO2, e di calura opprimente, aleggia in questa zona un sentore caratteristico, misto di croccante, popcorn, zucchero filato, olio da macchina, polvere e sudore. Il tutto accompagnato da un gran vociare in lontananza, di urla a effetto Doppler, di musica confusa sullo stile “unz-unz”.
IL LUNA PARK.
Odio la Fiera e l’ho sempre odiata. Soltanto, avevo capito già in tenera età che nella vita è meglio non accentuare snobismi e spigolature se volevo guadagnarmi un posticino al sole.. e rassegnarmi a seguire le masse. Il che era la strada più facile in tante occasioni, ma mi metteva a durissima prova quando era ora di unirsi alla comitiva e andare alla Fiera.
In primis: io sono stanziale. Non mi piace la vita da girovaghi, e, per quanto le loro roulotte siano favolose e giganti, hanno comunque il cesso chimico, e scusate se è poco.
Poi: I giostrai avevano figli bellissimi, ragazzi e ragazze con occhi, capelli, fisici da paura.. ma che stavano “in sgirandola” tutto il giorno e inevitabilmente la polvere gli si depositava addosso, per cui avevano sempre quella patina di scuro e “musnento” (soprattutto nel collo e nelle pieghe delle mani) da cui mi sono sempre tenuta molto alla larga.
Tutta la verità? Io avevo paura. Non sono mai stata una di quelle che gode con le scariche di adrenalina. Per dirla tutta: le uniche scariche che potevo avere sulle Montagne Russe erano intestinali, perché me la facevo letteralmente addosso.
Non capivo né capisco tuttora che gusto ci fosse a trovarsi per 5 minuti di orologio a testa in giù appesi sul vuoto, né a rotolarsi in una gigantesca ruota da criceti, né a sentire lo stimolo del vomito sul galeone. Da che mondo è mondo, la testa è fatta per stare su e i piedi giù, possibilmente ben ancorati a terra.
Se avessi anche solo esternato dubbi e paure, mi sarei scavata la fossa da sola: sarei stata sfottuta a vita, per cui per anni, tra morte sociale e morte vera e propria, ho preferito rischiare la seconda. I dieci minuti del giro in giostra erano i più lunghi della mia vita, ma la tortura era, quando finalmente l’ordigno toccava terra, dissimulare lo spavento e anzi, lamentarmi perché era durato troppo poco.
Non ridete, per pietà. A me facevano paura anche la casa degli orrori e il bruco Mela, e il labirinto degli specchi mi rendeva claustrofobica, tanto che in più occasioni il giostraio, avvilito, mi apriva le porte e mi faceva uscire di nascosto.
Al Tagadà credo di avere seriamente rischiato un trauma cranico, perché se volevi essere davvero toga, mica dovevi stare buona buona attaccata al cordolo mentre il sifone faceva andare su e giù la padellona (nooooooooooo!): se volevi essere davvero figa, dovevi mollarti e sussultare al ritmo della musica, mentre tutti ti si buttavano addosso e sembrava di essere in un girone infernale.
Alla sera venivo restituita alla mia vita di sempre ammaccata e puzzolente, e ogni volta speravo che mia madre, esasperata, cominciasse a dire che non ci sarei potuta più andare perché era un brutto ambiente, spendevo troppi soldi, tornavo sempre a casa in uno stato pietoso (una volta addirittura senza una scarpa!): invece mi guardava a malapena e mi diceva di andarmi a lavare almeno le mani, pensando molto demagogicamente che proibirmelo non sarebbe servito a niente. Non sapeva che avrei dato qualsiasi cosa perché mi tenesse chiusa in camera mia a studiare latino quei 15 giorni malefici in cui essere me stessa era troppo difficile.

 

 

 
 
 
 
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